Gli ex «macaronì» senza memoria [Il Corriere della Sera, 4 giugno 2024]

di Paolo Di Stefano
Il Corriere della Sera, 4 maggio 2024, p. 37.

Non poteva uscire in un momento più opportuno il secondo volume della Storia dell’emigrazione italiana in Europa (Donzelli editore), diretta da Toni Riccardi. Perché ci ricorda alcune cose fondamentali Primo: che nella campagna elettorale delle Europee, di tutto si è parlato tranne che di politiche migratorie. Argomento capace di mettere in imbarazzo qualunque schieramento, dunque diventato un tabù. Secondo: che c’era un tempo (il libro tratta del ventennio 1957-1979) in cui l’Europa non ancora Unione riusciva, con tutte le difficoltà, a programmare il movimento interno dei lavoratori (gli italiani ne beneficiarono).

Cosa che oggi con gli immigrati extraeuropei risulta pressoché impossibile. Ma è il terzo punto quello che fa più riflettere. Scrive Ricciardi che le tragedie che colpirono gli emigranti crearono via via, nell’opinione pubblica dei vari Paesi, una nuova consapevolezza e sensibilità. Dopo la catastrofe di Marcinelle dell’8 agosto 1956 (262 minatori morti di cui 136 italiani), in Belgio cambiò la percezione verso i disprezzati «macaronì». Una svolta testimoniata anche dai vecchi sopravvissuti: da quel giorno scomparvero i cartelli discriminatori e razzisti («ni chiens ni italiens») appesi sulle vetrine dei caffè e dei ristoranti, ma mutarono anche le condizioni di lavoro, fu rafforzata la sicurezza e migliorarono le strutture. Lo stesso avvenne in Svizzera dopo il 30 agosto 1965, quando a Mattmark una montagna di ghiaccio travolse 88 lavoratori impiegati nella costruzione di una diga, 56 dei quali erano operai italiani. E l’anno dopo Mattmark, furono ancora 15 su 17 gli italiani morti in una galleria di Robiei in Ticino. Qualcuno, in occasione delle iniziative xenofobe avviate da James Schwarzenbach, evocò quei sacrifici umani a difesa degli stranieri e forse anche per questo i referendum fallirono. E oggi? I sacrifici umani dei morti irregolari, gli schiavi «clandestini» che lavorano nelle fabbriche o nelle campagne, cadono nell’indifferenza. Semplicemente non ci appartengono e tutto resta uguale a prima. Tabù. o quasi. Per non dire dei morti in mare che ci «sconvolgono» per circa ventiquattr’ore, senza intaccare la nostra sensibilità e alla lunga suggerendo un solo provvedimento: la dimenticanza e dunque il silenzio. Viva l’Europa, l’Europa tutta intera, potrebbe cantare De Gregori.