07 Ago Il sacrificio di Marcinelle che ha cambiato l’Europa [La Repubblica, 7 agosto 2023]
di Toni Ricciardi
La Repubblica, 7 agosto 2023, p. 31.
In occasione della Giornata in ricordo dei minatori morti nel 1956, rileggere le cronache di quei tempi aiuta a inquadrare la tragedia: da allora i “macaronì”, come venivano chiamati i nostri emigranti, non furono giudicati più allo stesso modo. Italiani e belgi erano morti gli uni a fianco agli altri, nella più grave sciagura che il Belgio contemporaneo ancora oggi ricordi.
Quanto accaduto a Marcinelle, nel Bois du Cazier, 67 anni fa, quel tragico 8 agosto 1956, segna indelebilmente la nostra storia e il nostro futuro. Quel mercoledì, erano da poco passate le 8 del mattino e per un mero errore umano, dovuto alla mancanza delle minime misure di sicurezza, 274 minatori di ben 12 nazionalità vennero inghiottiti dalle viscere della terra a quota — 975. Il Bois du Cazier era ancora una miniera ottocentesca. Rileggere le cronache di quei giorni è come rileggere le pagine del Germinale di Zola.Si discuteva della dismissione del pozzo, interamente armato in legno, dagli inizi degli anni Venti. La Seconda guerra mondiale prima e successivamente l’utilizzo dei prigionieri di guerra mantennero in vita il plesso minerario che dal 1946 — in seguito all’accordo minatore-carbone, il primo di una lunga serie di accordi di emigrazione che la neonata Repubblica siglò dal 1946 al 1955 — accolse decine di miglia di minatori italiani. Si trattava di forza lavoro proveniente dai paesini della provincia italiana, da Nord a Sud, che dopo il terribile incidente assursero alle cronache nazionali.
Marcinelle fu la prima tragedia raccontata in presa diretta, e per la prima volta le condizioni sociali e familiari delle persone coinvolte ridavano al Paese, che di lì a poco si apprestava a vivere i fasti del miracolo economico, l’immagine di un’Italia di provincia che il neorealismo aveva già fatto conoscere al mondo e che viveva ancora nelle difficoltà sorte all’indomani della fine della guerra. Fino a quel momento, più di due milioni e mezzo di italiane e italiani avevano ripreso le vie dell’emigrazione. Il 53% (1,3 milioni) si era spostato verso l’Europa, che diverrà la grande attrattrice dell’emigrazione italiana nel mondo: prima Francia, poi Svizzera fino agli inizi degli anni Settanta, per cedere successivamente il passo alla Germania.
Oggi in Europa vivono oltre tre milioni e mezzo di italiani e italiane, e non è un caso che i Paesi verso i quali molti nostri giovani ancora oggi guardano e si dirigono, anche grazie alla libera circolazione, sono gli stessi di 50 anni fa. Come sappiamo, le catastrofi sono processi di accelerazione della storia che lasciano intravedere processi già in atto, che si fatica a comprendere nell’immediato. Marcinelle e il carbone all’epoca rappresentavano la questione energetica, indispensabile per far ripartire l’Europa, e la tragedia avvenne nel momento in cui le fonti energetiche si diversificavano e il carbone veniva progressivamente sostituito dal petrolio e dall’energia nucleare. L’eredità in cifre della corsa all’energia di quel fatale 8 agosto è di 262 vittime di 12 nazionalità, di cui 136 italiani e 95 belgi, e di 417 orfani di cui 224 italiani.
Dopo Marcinelle, il racconto delle catastrofi fu in grado di aprire anche un varco emotivo, che andò a toccare sensibilità e vissuto personale. Dall’8 agosto 1956, i “macaronì” non furono guardati e giudicati più allo stesso modo. Italiani e belgi erano morti gli uni a fianco agli altri, senza alcuna distinzione di sorta, nella più grave sciagura che il Belgio contemporaneo ancora oggi ricordi. Il nostro Paese, dal 2001, ha istituito la “Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo”. Ogni 8 agosto si ricorda questa immane tragedia dell’emigrazione italiana, che trovò una prima risposta l’anno seguente con il Trattato di Roma, che a sua volta sancì l’inizio dell’apertura verso la libera circolazione, concretizzatasi poi con Schengen.
Il Trattato del 1947 diede avvio al processo di integrazione europea, tale anche e soprattutto grazie al contribuito dei 14 milioni di italiane ed italiani trasferitisi per periodi medio-lunghi nei vari Paesi europei, dal 1946 alla fine degli anni Settanta. Una mobilità che non si è mai interrotta del tutto e che è ripresa a partire dalla fine degli anni Novanta senza sosta, registrando una media annua di oltre centomila partenze. L’emigrazione ieri e la mobilità oggi sono uno dei patrimoni immateriali, probabilmente tra i più significativi, che l’Italia può vantare: una ricca e variegata comunità nel mondo che rappresenta l’indispensabile capitale umano per il rilancio del nostro Paese.