La tragedia di Marcinelle fu una svolta per tutta l’Europa [Corriere del Ticino]

di Dario Campione [Corriere del Ticino, 7 agosto 2021]

Mercoledì 8 agosto 1956. Nella miniera di carbone di Bois du Cazier a Marcinelle, in Belgio, il lavoro non si ferma mai. Centinaia di uomini si guadagnano da vivere nei pozzi profondi un chilometro, in gallerie puntellate da strutture di legno vecchie quasi un secolo. Al buio. Nei polmoni una polvere che corrode i corpi e gli animi. Una scintilla, improvvisa, avvampa il fuoco nel condotto principale dell’aria. I tunnel si riempiono rapidamente di fumo. La miniera diventa una trappola senza uscita. Muoiono 262 persone. Oltre la metà, 136, sono emigrati italiani.
Toni Ricciardi insegna Storia delle migrazioni all’Università di Ginevra e su quella tragedia ha pubblicato, nel 2016, un libro che è insieme ricostruzione dettagliata dei fatti e analisi politico-sociale (vedi scheda a fianco). «Marcinelle – dice Ricciardi rispondendo alle domande del Corriere del Ticino – è il punto di svolta e di cesura di un mondo che sta per entrare in una fase nuova. L’8 agosto 1956 è la vera data di nascita dell’Europa comunitaria».

Professor Ricciardi, che cosa rimane di Marcinelle, oggi?
«Molte cose. Nella miniera belga sono piantate le radici vere della Repubblica italiana, fondata – come recita l’articolo 1 della Costituzione – sul lavoro. Nel giugno del 1946, tre giorni prima che iniziassero i lavori della Costituente, l’Italia firmò un accordo con il Belgio: 50mila minatori all’anno in cambio di carbone, la benzina della modernità. Duecento chili per ogni emigrato. Se ci si pensa, è qualcosa che fa davvero impressione».
Un carbone che poi, in realtà, non arrivò mai.
«Sì, perché un anno dopo, nel 1947, con l’uscita dei comunisti dal governo di unità nazionale, grazie al Piano Marshall giunse, gratis, il carbone americano».

Intervista di Dario Campione – Corriere del Ticino, 7 agosto 2021, p. 6.

E poi c’è l’Europa.
«Certo. Marcinelle dà una spinta decisiva alla costruzione dell’Europa unita, e non a caso il trattato di Roma del 25 marzo 1957 tiene assieme i fondatori dell’Unione grazie al carbone e all’acciaio. Marcinelle è nello stesso momento un punto di cesura e un punto di svolta di un mondo deciso a entrare in una fase nuova».
Nel suo libro lei sostiene infatti la tesi che Marcinelle, al pari di altri eventi simili, fu un acceleratore della storia.
«È così. Le tragedie accadono spesso nella fase finale dei processi storici: nel momento in cui questi avvengono, si accendono fari potentissimi su sviluppi sociali che sono già in atto. Nel 1956 il carbone belga è ormai in disuso, si parla diffusamente di energia nucleare. Le 262 vittime di Marcinelle non sono quindi frutto soltanto dell’errore umano: sono figlie soprattutto dell’abbandono progressivo di un settore e di una produzione il cui futuro era segnato».
Si può parlare della tragedia belga come di un punto limite della storia italiana ed europea?
«Sicuramente sì. Anche se la durata di alcuni cambiamenti è stata lunga. Nel 1958, il boom economico fa esplodere in Italia i consumi. La società si trasforma. E inizia anche a raccontarsi in modo diverso. Nel 1960, con “La Dolce Vita”, Federico Fellini cambia il paradigma narrativo di un Paese che, fino a quel momento, attraverso il cinema neorealista, aveva prevalentemente rievocato un mondo uscito dalla miseria della guerra. Improvvisamente, lo schema è differente: l’Italia descrive e pensa sé stessa come una grande nazione in via di sviluppo. La realtà, come ho detto, è però un po’ diversa: l’emigrazione continuerà con forza, soprattutto in Svizzera, Paese che dal 1958 al 1976 accoglierà il 50% del totale degli emigrati italiani».
Marcinelle fu comunque un evento che cambiò qualcosa anche nel modo di pensare della gente comune.
«Cambiò senza alcun dubbio il modo in cui l’opinione pubblica percepì le vittime sacrificali di questo processo di cambiamento. I media – su tutti ancora i giornali e, in maniera crescente, la radio e la televisione – giocarono un ruolo determinante. Allargando gli orizzonti della narrazione, incisero come mai prima sulla stessa opinione pubblica e, mentre lo facevano, inconsapevolmente cambiarono anche loro. Dopo Marcinelle, il racconto delle catastrofi fu in grado di aprire un varco nella sensibilità delle persone. Dall’8 agosto 1956 in poi i “macaronì” non furono guardati e giudicati più allo stesso modo. Italiani e belgi erano morti gli uni a fianco agli altri, senza alcuna distinzione di sorta, nella più grave sciagura che il Belgio contemporaneo ancora oggi ricordi».
Quanto è importante conservare la memoria di tragedie come Marcinelle? E perché bisogna farlo?
«È importante, e bisogna farlo, soprattutto perché attraverso queste vicende capiamo l’evoluzione e la trasformazione dei processi sociali. Riconosciamo noi stessi e la nostra storia».