Terremoto dell’Irpinia, 40 anni dopo si fatica a costruire una memoria condivisa

di Toni Ricciardi – HuffPost, 7 novembre 2020.

Le aree interne, da Nord a Sud, sono luoghi di straordinaria unicità e bellezza, ma allo stesso tempo luoghi fragili attraversati da secoli, se non millenni, di terremoti devastanti che ne hanno cambiato paesaggio e tessuto relazionale.
Tra qualche settimana, cadrà il 40° del più grande evento catastrofico della recente storia repubblicana, Il terremoto dell’Irpinia: 3000 vittime, 9000 feriti, 300.000 senzatetto. Oltre 60mila i miliardi spesi per quello che è passato alla storia come il momento di massimo spreco di denaro pubblico.
Sulla ricostruzione molto è stato scritto e detto, eppure, a 40 anni di distanza, tutto è stato etichettato come mero sperpero e malaffare. L’Irpiniagate ne rappresentò il punto estremo e la Democrazia cristiana, incarnata da Ciriaco De Mita, assieme alla Dc irpina e campana, furono il bersaglio prediletto.

Quarant’anni dopo cosa resta? Perché in Irpinia si fatica ad avere una memoria condivisa dei fatti e dei misfatti?

Le risposte alla prima domanda stanno nei numeri: dal punto di vista demografico, l’Irpinia – nello specifico l’Alta Irpinia, che diverrà la zona del cratere – si è ridotta a 413mila abitanti, mentre erano poco più di 430mila nel 1980. L’emigrazione prima e la mobilità oggi caratterizzano questi luoghi.
Un altro capitolo è quello delle cosiddette industrie in montagna. Sulla questione molti si sono espressi, la stessa Commissione d’inchiesta parlamentare, presieduta da Oscar Luigi Scalfaro, giunse nel 1991 alla conclusione che ci furono spreco e malaffare. Indubbiamente, le 20 aree industriali previste e i soldi spesi per realizzarle e allestirle non hanno dato i frutti preventivati.
Oggi parte di quelle pagine della Commissione d’inchiesta andrebbero riscritte. Molte aziende, piccole e multinazionali italiane, sia in Alta Irpinia che nella provincia di Potenza, sono attualmente in piena attività e rappresentano, in alcuni casi, l’ultimo barlume di speranza per chi resta.

La risposta alla seconda domanda, quella della memoria condivisa, è ben più ostica. Intanto, è utile sottolinearlo, ogni catastrofe del genere incontra la stessa difficoltà. I ricordi e la memoria delle persone coinvolte direttamente o indirettamente iniziano a convergere in una memoria condivisa dopo 40 anni dall’evento. Molto di quanto si percepisce e si conosce di quanto accaduto è il frutto della trasmissione di altre generazioni. Ciò vale anche nel caso, per esempio, della generazione post-terremoto, nata dopo il 23 novembre 1980. I luoghi che si vivono, che sono improvvisamente mutati, si sono trasformati con il terremoto, o peggio con la ruspa selvaggia del post-terremoto, non sono gli stessi dei loro genitori e i 90 secondi di scossa hanno reciso definitivamente qualsiasi collegamento con il recente passato.

Tuttavia, non è sufficiente per spiegare il perché manchi ancora una memoria condivisa. Da un lato, probabilmente diventa difficile nella misura in cui molti dei protagonisti degli ultimi 40 anni – coloro che hanno fatto le scelte sul come e cosa ricostruire – sono ancora gli stessi protagonisti delle commemorazioni e del dibattito sul tema. Vale per gli amministratori per i politici e, soprattutto, per i giornalisti. Se questi ultimi, da un lato, svolsero un lavoro straordinario nel denunciare le difficoltà del momento e lo stesso malaffare, sono stati in parte gli artefici di una narrazione spesso piegata agli interessi della politica nazionale, come ci ricorda in un’intervista nel 1990 lo stesso Commissario dell’allora ricostruzione, Giuseppe Zamberletti.

Se l’Irpinia fosse una terra che non ha rappresentanze politiche significative, la valutazione di queste cose sarebbe una valutazione che avrebbe un’ottica completamente diversa. Siccome l’Irpinia ha rappresentanze politiche significative, lo scontro politico supera completamente i problemi reali che devono essere valutati. Per intenderci, il Friuli non era terra di grande scontro politico, non aveva espressioni politiche significative, quindi non interessava a nessuno la battaglia politica sulla ricostruzione […] in Irpinia, lo scontro politico ha un valore romano che non ha in altre realtà territoriali del nostro Paese.

A 40 anni di distanza, lo sforzo che andrebbe compiuto non è tanto quello di individuare i colpevoli dei misfatti, che probabilmente non vanno ricercati solo nel dopo, ma soprattutto nel prima – nel momento in cui il grosso delle vittime, 2914 per la precisione, andarono incontro a tale destino perché crollarono le case ed i palazzi costruiti da poco (come per esempio l’Ospedale di Sant’Angelo dei Lombardi, inaugurato l’anno prima, nel 1979).

Questa è storia ormai, andrebbero piuttosto riannodati i fatti contestualizzandoli nella storia più ampia. Cos’era l’Italia degli anni Ottanta? Era l’Italia della Milano da bere, della stagione dei paninari, ma allo stesso tempo, era ancora il paese in cui persistevano territori dove il Cristo di Levi non aveva volto nemmeno lo sguardo. Fu una colpa il fatto che molti, inebriati dall’allora nascente Tv commerciale, sognassero una presunta modernità che ha lasciato canoni estetici del tutto discutibili ancora oggi?

Ecco, 40 anni dopo, più che cercare risposte, ognuno avrà e continuerà ad avere le proprie, occorre, forse, soffermarsi sul genere di domande da porsi.