Mattmark, 30 agosto 1965 – 51 anni fa, l’ultima tragedia dell’emigrazione italiana

Giuseppe Audia – una della 88 vittime dell’ultima tragedia dell’emigrazione italiana, Mattmark 30 agosto 1965 – che da bambino aveva fatto il pastore alle pendici della Sila, aveva giurato a se stesso che Paolo, Angela e la piccola Giovanna ancora in fasce non avrebbero mai patito le sue sofferenze. Era già stato a Mattmark nel 1964, anche se dopo qualche mese si era licenziato pur di potere accompagnare giù, fino a San Giovanni in Fiore, la salma di un suo compaesano rimasto ucciso in un incidente al cantiere. Nel frattempo, era ritornato a fare il camionista per una ditta nel Ticino; in pochi mesi aveva girato tutta l’Europa, ma aveva avuto anche un incidente: a causa della rottura dei freni, il suo camion era precipitato in un burrone e lui aveva fatto appena in tempo a buttarsi fuori dalla cabina. Era contento di tornare a Mattmark perché gli avevano affidato un lavoro non pericoloso: era addetto al rifornimento carburante.

Carissima Moglie,
stasera ho ricevuto la tua cara e da me tanto desiderata lettera quale sono contento a sentire che voi state tutti bene e così fino al momento che scrivo vi assicuro di me. Dunque mia carissima bambola riguardo a quanto mi dici che vuoi sapere se lavoro di notte o di giorno, questi sono lamenti che io non sono capace a raccontarteli nelle lettere e quindi per favore non chiedermi più queste sciocchezze. Parlami di cose serie perché anche se io ti mando a dire questo tu non hai niente che farmi e questo sarebbe un pensiero in più che ti metti in testa quindi credo che mi hai capito.
[…] lunedì è arrivato Francesco e mi ha portato il pacchetto mi fai sapere se sei andata a farci la visita. Tu mi hai mandato tre soppressate, ma potevi fare anche un bigliettino nel pacchetto perché per me era più caro un tuo sentire che le tre soppressate.
Mi fai sapere come se la passano i miei cari figli, se Giovanna ha incominciato a chiamarmi, se Angela va in bicicletta a due ruote, come va Paolo a scuola se ancora va al doposcuola oppure no e ti ho detto già molte volte di farlo imparare a scrivere le lettere perché se mi fai scrivere un biglietto ogni lettera per lui sarebbe utile ma tu di questo non ne vuoi sapere, vuoi sapere solo se io lavoro di giorno o di notte. Non ho altro passo ai più cari saluti, saluto e bacio i tuoi genitori. Saluto tutto il vicinato, saluto e bacio i miei figli.
In ultimo abbraccio e bacio a te
Tuo Peppino.

Nel cantiere di Mattmark non ci si fermava mai. Si lavorava 24 ore su 24, sei giorni su sette. Contrattualmente, un operaio lavorava 59 ore la settimana e se ne aveva voglia anche 15-16 ore al giorno, domenica e festivi compresi. Negli anni sessanta, in Svizzera – paese che ha vissuto una crescita economica senza precedenti dal secondo dopoguerra fino alla metà degli anni settanta – questa era la quotidianità. In quel periodo, mentre l’Italia costruiva faticosamente una sua immagine diversa raccontando al mondo il boom economico, l’emigrazione si andava progressivamente meridionalizzando. L’Appennino iniziava la sua lenta e irreversibile desertificazione. Dall’Irpinia all’Abruzzo, dalla Sila alle coste salentine, il Mezzogiorno si svuotava senza sosta, mentre la piccola Svizzera accoglieva da sola quasi il 50% dell’intero flusso migratorio italiano: più di 2 milioni e mezzo di persone, dall’immediato secondo dopoguerra e fino agli anni ottanta. Molte furono impegnate nella costruzione di grandi opere, come la diga di Mattmark.