29 Lug Marcinelle, come nasce una strage di emigranti (il venerdì – La Repubblica, 29 luglio 2016)
A sessant’anni dalla catastrofe di Marcinelle Maria Di Valerio, vedova del minatore Camilla lezzi, all’epoca appena ventiseienne, racconta che nessuna immagine è stata cancellata dalla memoria, le grida di dolore davanti ai cancelli della miniera rimbombano ancora. L’8 agosto del 1956 l’incendio nella miniera del Bois du Cazier di Marcinelle, concepito nel 1882 e mai modernizzato, presentò alle famiglie di 262 lavoratori di dodici nazionalità, fra i quali 136 italiani, il prezzo della politica europea che, senza alcuna tutela sociale, scambiava braccia per il carbone con accordi bilaterali fra Stati. L’economia belga necessitava della manodopera italiana, ma il carbone belga, estratto da minatori abruzzesi, raramente è arrivato.
Toni Ricciardi in di Marcinelle, 1956 (Donzelli) elabora una riflessione preziosa sulla storia dell’emigrazione italiana, contestualizzando l’apice tragico dei caduti in miniera. L’Italia libera dal nazifascismo, in perfetta contiguità con la propria politica sull’emigrazione anche durante il fascismo, mise in pratica un imponente sistema di esportazione di manodopera. Le classi dirigenti, al fine di allentare le tensioni sociali, convinsero con una propaganda a tappeto che partire era giusto. Ricciardi spiega come l’accordo del 23 giugno 1946, che impegnava il governo a trasferire 50mila compatrioti nelle miniere belghe, si rifacesse a quello del ’37 con la Germania (operai per l’economia nazista in cambio di carbone). Pur consci della pericolosità del lavoro, i partiti italiani votarono all’unanimità l’accordo. Toccante il diario Nino Di Pietrantonio, figlio di Emidio, uno dei 224 orfani: i familiari riuscirono a identificare i propri cari solo da piccoli frammenti di tessuto e altri minuscoli particolari.