È migrazione forzata oggi come nel 1945 (ilCaffè – 13.09.2015)

Toni Ricciardi il caffè - 13 settembre 2015, p. 32.

Toni Ricciardi
il caffè – 13 settembre 2015, p. 32.

Assistiamo confusi, inermi, inorriditi e a tratti spaventati alle migliaia di immagini che arrivano  dall’Ungheria, dalla Repubblica Ceca, dalle coste del Mediterraneo e dalla Turchia nei salotti delle nostre tranquille case. Una delle nostre prime reazioni è classificare queste disperata umanità come altri, poveri e, più in generale, forestieri.
Senza scomodare l’etimologia che fa risalire l’espressione forestiero alla lingua provenzale della fine del XIII secolo, la questione lessicale ha progressivamente connotato il concetto dell’altro con accezioni il più delle volte negative. Si era “barbari” rispetto ai romani, si è stranieri e/o immigrati rispetto ad una data nazionalità, si è regolari o clandestini rispetto ad una legge, si è rifugiati, profughi o richiedenti asilo rispetto agli ordinamenti internazionali.
Nella sostanza continuiamo a parlare di immigrazione o meglio di migrazioni. Di spostamenti umani che dagli albori del nomadismo fino ad oggi hanno interessato, in forma e modalità diverse, la storia dell’umanità. Tutti i popoli e ogni area territoriale, dalla più ricca alla più disperata, hanno conosciuto la migrazione. L’hanno conosciuta l’Unione Europa, i suoi Paesi fondatori e coloro che oggi la compongono, così come la Svizzera tutta, anche e soprattutto il Ticino. Quest’ultimo, più di altre realtà territoriali e ben prima dell’ultimo storico arrivo massiccio di profughi di guerra dalla ex Jugoslavia, si dovette confrontare con la questione dei profughi provenienti dalla vicina Italia dopo l’8 settembre del 1943.

I rifugiati militari
Nel 1942, la Svizzera, per la prima volta nella sua storia – mentre in Europa imperversava la persecuzione nazista – decretò la chiusura delle frontiere ai profughi. Nonostante violente critiche da parte dell’opinione pubblica, Berna, dopo molti tentennamenti, ammorbidì leggermente la sua posizione a favore dei casi più pietosi. Di fronte a centinaia di migliaia di deportati, nel luglio del 1942, solo poco più di 8000 trovarono asilo in Svizzera.
Anche allora il dibattito interno fu oltremodo acceso tra coloro che ritenevano eccessiva la presenza dei rifugiati e quanti, rifacendosi alle pur flebili norme del diritto internazionale, si batterono per accoglierli provvisoriamente.
Oltre confine, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, i profughi cominciarono a presentarsi numerosi anche lungo tutta la frontiera italiana. Dopo aver già respinto, nei mesi precedenti, più di 20000 profughi – perlopiù ebrei – la Confederazione, dinanzi alla nuova fiumana di italiani (più di 45000, tra i quali quasi 4000 ebrei italiani), decise di porre rimedio ad una triste pagina della sua recente storia. La soluzione adottata fu figlia di una straordinaria flessibilità d’azione che la contingenza del momento richiedeva.
Lessicalmente nella forma, giuridicamente nella sostanza, fu coniata la figura del rifugiato militare. L’individuazione di questa soluzione, pur provvisoria, risultato di un’emergenza umanitaria per taluni aspetti per niente dissimile dall’oggi, ridiede speranza e futuro a tanti disperati, rei di voler fuggire da scenari di guerra e dalla miseria della quale non erano colpevoli.

Vittime della geopolitica
I paradossi della storia ripropongono l’Europa, come nella prima metà del secolo scorso, quale epicentro mondiale degli spostamenti forzati. Dopo la prima guerra mondiale – che decretò la dissoluzione dell’impero Asburgico e di quello Ottomano – si avviò la fase di destabilizzazione del vecchio continente e con esso, di rimando, di tutta l’area del Mediterraneo. La colonizzazione e il secondo conflitto mondiale fecero il resto.
Nel 1923 la convenzione di Losanna, momento spartiacque del diritto internazionale, intervenne sulla questione turco-greca legittimando lo spostamento forzato di popolazione per garantire la serenità degli Stati Nazione. Tralasciando le dittature dell’epoca, anche molti Paesi democratici la pensarono allo stesso modo.
Bene?, ultimo presidente della Cecoslovacchia prebellica che per lungo tempo auspicò l’assimilazione della minoranza tedesca, nel 1942 scriveva: ormai non è più possibile creare Stati che sono nazionalmente e linguisticamente omogenei, eccetto che per mezzo di vasti trasferimenti di popolazione. Qualche anno dopo, nel dicembre del 1944, Churchill, parlando delle minoranze tedesche nei territori dell’Europa orientale, riteneva l’espulsione la soluzione più soddisfacente e definitiva: non vi saranno più commistioni di popoli che causano guai infiniti. Si farà piazza pulita. La prospettiva di sradicare una popolazione, precisava, non mi spaventa affatto, così come non mi spaventano questi trasferimenti di massa, oggi più possibili che in passato grazie alle tecniche moderne.
Bisognerà attendere il processo di Norimberga ai crimini nazisti, per vedere condannate, da parte della comunità internazionale, le deportazioni forzate dirette e indirette.

Ieri come allora
Ieri come oggi, per chi scappa tutti i mezzi sono buoni. Sia esso un carro agricolo, un treno merci, le proprie gambe, dei gommoni o le zattere di fortuna, l’importante è fuggire dal pericolo.
Le migrazioni forzate – è di queste che parliamo ed è bene chiarirlo -, indotte da conflitti e persecuzioni, hanno raggiunto il livello massimo registrato e sono in forte aumento, superando addirittura i 50 milioni di spostamenti provocati dalla seconda Guerra mondiale. Alla fine del 2014 i migranti costretti a fuggire dalle loro case erano 59,5 milioni. Attualmente hanno superato abbondantemente i 60 milioni. L’incremento maggiore si è avuto a partire dai primi mesi del 2011, all’indomani del conflitto siriano che è diventato la causa principale, ma non l’unica, della migrazione forzata a livello mondiale alla quale assistiamo ormai da mesi.
Come in passato, le debolezze geopolitiche della comunità internazionale e l’ambigua potenza dell’Europa stanno provocando un’emergenza per la quale non riusciamo ad immaginare soluzioni adeguate. Eppure la storia dovrebbe insegnarci qualcosa. Pensiamo agli oltre 4 milioni di africani trasferiti forzatamente come schiavi nei secoli scorsi dagli imperi coloniali, alle deportazioni sovietiche degli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, ai milioni di tedeschi dell’Europa orientale prima e dopo il conflitto mondiale, alla Shoah o all’ultima guerra dell’ex Jugoslavia. Per non parlare dell’esodo degli italiani dall’Istria prima e dalla Libia poi, come dei coloni francesi e svizzeri d’Algeria, solo per citarne alcuni.
Tutte queste migrazioni, forzate, indotte o spontanee sono il risultato di gestioni geopolitiche di aree specifiche, nelle quali i singoli Stati e la comunità internazionale non ha certo brillato per lungimiranza e buon senso. Il processo di Barcellona del 1996 immaginò di creare nel 2010 nel Mediterraneo uno spazio economicamente e socialmente aperto che avrebbe con ogni probabilità creato – ove mai fosse partito – un orizzonte diverso da quello in cui viviamo oggi.