(l’Unione Sarda) Il 30 agosto 1965 la tragedia di Mattmark raccontata da Ricciardi. Morte fra i nostri emigrati

Gianluca Scroccu L'Unione Sarda - 28 agosto 2015, p. 38.

Gianluca Scroccu
L’Unione Sarda – 28 agosto 2015, p. 38.

Francesco Achenza, camionista di Uri, 38 anni, sposato con due figli; Olivio Dessì, escavatorista di Senorbì, 30 anni, sposato e con un figlio; Antonio Floris, manovale di Orgosolo, 40 anni, sposato e con due figli. Sono le tre vittime provenienti dalla Sardegna del disastro di Mattmark, località svizzera del Vallese, dove il 30 agosto 1965 un ghiacciaio enorme si staccò provocando una valanga. Vennero così travolte le baracche in cui erano alloggiati i lavoratori impegnati nella costruzione di quella che doveva essere la più grande diga d’Europa.
Una tragedia immane, con 90 morti di cui 56 italiani. Se nella memoria collettiva degli italiani il disastro della nostra emigrazione post seconda guerra mondiale è legato in maniera indissolubile alla disgrazia del 1956 a Marcinelle, non di meno merita di essere ricordata quella di Mattmark. Per fortuna a togliere oggi il velo dell’oblio ci ha pensato lo storico dell’Università di Ginevra Toni Ricciardi col suo “Morire a Mattmark. L’ultima tragedia dell’emigrazione italiana” (Donzelli, pagine 176, € 27). Ricciardi ha lavorato con attenzione e dedizione sulle fonti d’archivio e a stampa, oltre che sulle testimonianze dei sopravvissuti, ricostruendo nel dettaglio il contesto storico e geografico di quei tragici fatti e le relative conseguenze politiche, sociali e giudiziarie.
Gli emigrati che morirono nel Vallese in quella sfortunata giornata di fine agosto del 1965 rappresentavano una porzione degli italiani alla ricerca di un benessere più duraturo. Ecco perché si cercava la fortuna fuori dai confini nazionali e la Svizzera raccolse da sola quasi il 50% dell’emigrazione italiana.
Non era però il paradiso, quello che i nostri connazionali trovavano una volta varcate le Alpi. Come si ricostruisce bene nel libro, la logica schiacciante era quella di una manodopera da spremere senza sosta sei giorni alla settimana su sette, nonostante il pericolo continuo di slavine e valanghe, il tutto per portare a termine un’opera che doveva offrire alla Svizzera l’energia idroelettrica necessaria a sostenerne la crescita. Non ci fu giustizia per i morti di Mattmark: nonostante acclarate negligenze, il primo grado vide assolti gli imputati accusati di omicidio colposo, mentre in appello si aggiunse anche la beffa del pagamento delle spese processuali per i familiari delle vittime.