(Giornale di Brescia) Mattmark: una tragedia degli emigranti di 50 anni fa

Nel saggio di Toni Ricciardi il ricordo del muro di ghiaccio che in Svizzera uccise 88 operai

Paolo Grieco Giornale di Brescia - 14 agosto 2015, p. 38.

Paolo Grieco
Giornale di Brescia – 14 agosto 2015, p. 38.

Alle 17,15 di lunedì 30 agosto 1965, in meno di trenta secondi, più di due milioni di metri cubi di ghiaccio e di detriti, precipitarono sul cantiere e sulle baracche degli operai a Mattmark, nel Vallese svizzero, dove si stava costruendo un’imponente diga idroelettrica necessaria ad un paese in forte crescita economica.
Un gran boato e poi la fine. Ottantotto persone, tra le quali 56 italiani, morirono sul colpo, mentre diciannove rimasero gravemente ferite. Il disastro riportò alla mente quello altrettanto terribile di Marcinelle del 1956.
«Guardateli, via via che i soccorritori li allineano per terra, supini, uno accanto all’altro… Guardateli per l’ultima volta. Non sono belli e tremendi? Non sono dei soldati?».Con enfasi Dino Buzzati sul Corriere della sera descrisse l’emozione dell’opinione pubblica italiana, a cui fecero eco altre testate – soprattutto di sinistra -, che si chiesero inoltre e con sdegno, come fosse stato possibile che, nell’organizzatissima Svizzera, gli ingegneri e i tecnici non avessero previsto che la lingua del ghiacciaio Allalin – sotto cui era stato costruito il cantiere con le abitazioni degli operai – si stesse muovendo per le piogge e per il caldo. Nella Confederazione elvetica, a parte qualche giornale, si affermò che la catastrofe era stata naturale e imprevedibile, e si mise l’accento sulla prontezza dei soccorsi e sugli aiuti elargiti.
Il processo. Mattmark ebbe un’appendice singolare. Il processo che ne seguì assolse gli imputati e nell’appello i parenti delle vittime furono condannati al pagamento di parte delle spese giudiziarie. Per ricordarne l’anniversario, Toni Ricciardi, storico delle emigrazioni, docente all’Università di Ginevra, ha scritto un ottimo e ben documentato libro «Morire a Mattmark» – edito da Donzelli (172 pp., 27), che ricostruisce le fasi della tragedia ed ha il pregio di riportare le testimonianze dei sopravvissuti, di mettere in luce il diverso trattamento anche economico riservato ai nostri connazionali – allora la Svizzera assorbiva oltre il 50% dell’intero flusso di manodopera emigrata italiana – chiamati «zingari» dai bambini, e le durissime condizioni di lavoro: «A Mattmark non ci si fermava mai. Contrattualmente un operaio lavorava 59 ore la settimana e, se ne aveva voglia, anche 15-16 ore al giorno, domenica e festivi compresi».

Tragedia epocale. Una terribile pagina di storia da inquadrare – come giustamente l’autore sottolinea – nel clima di allora: l’epoca della Guerra fredda e della presenza nel nostro Paese del più forte partito comunista europeo. La Svizzera era preoccupata che i nostri operai, per la maggior parte provenienti dal Sud, vi portassero idee politiche pericolose e creassero tensioni. Del resto anche da noi la meridionalizzazione nel Nord aveva creato sospetti e diffidenze. Se Mattmark non va dimenticata, non si deve neppure ignorare, però, la generosità della Confederazione verso i molti italiani che vi hanno trovato lavoro e speranza.