11 Ago Il sopravvissuto Di Nenna: “L’Italia non ha mosso un dito”
Presentato a Montella il libro di Toni Ricciardi “Morire a Mattmark”
La tragedia di Mattmark nelle parole di un sopravvissuto.
È stato infatti Salvatore Di Nenna il protagonista della presentazione del libro di Toni Ricciardi ‘Morire a Mattmark – L’ultima tragedia dell’emigrazione italiana’, organizzata dall’associazione di donne montellese ‘La Ginestra’. Di Nenna è scampato alla sciagura che ha mietuto ben 88 morti, di cui 56 italiani, quel maledetto 30 agosto 1965 a causa del ghiacciaio venuto giù. Era a Montella in permesso premio per il matrimonio. Nel vortice di ghiaccio e detriti però perse la vita il padre Umberto. Di Nenna aveva già vissuto il dramma della scomparsa di suo fratello, un anno prima sempre in Svizzera. Ma i due non demordono e decidono di ritornare.
Nei giorni precedenti, racconta Salvatore, «si era già staccato un pezzo di ghiaccio fermatosi a 50m dalle baracche. E il giorno dopo un altro,». Gli operai della ditta infatti vivevano a ridosso della montagna, in casupole, quasi dei lager. Anna Dello Buono, presidente di Ginestra, sottolinea la bravura di Ricciardi «nel configurare in maniera chiara e precisa il contesto politico in cui la tragedia si è verificata e i cambiamenti che avvenivano nel giornalismo». Tra i relatori anche Paolo Saggese, del Centro di Documentazione della Poesia del Sud. Il professore analizza lo scritto nei suoi 5 momenti fondamentali, con i tre capitoli centrali, da cui traspaiono i cambiamenti epocali del canton Vallese, tra cui appunto la costruzione delle centrali idroelettriche, a cui la diga di Mattmark sarebbe servita. Ma soprattutto, la scoperchiamento di una condizione di quegli italiani, vera e propria «carne da macello», al lavoro anche per 11-12 ore al giorno, e delle colpe dei Governi sia svizzero che italiano. Ivana Picariello, vicedirettrice del Quotidiano del Sud, ha evidenziato invece il lato umano di una vicenda che, in Irpinia, «riguarda tutti noi», sul filo del parallelismo tra immigrazione di ieri e di oggi. E i drammi che ne conseguono, soprattutto per il tema della sicurezza sul lavoro. Poi, Ricciardi. Racconta che l’incontro con Salvatore Di Nenna «è stato fondamentale, insieme al suo contributo per gli archivi, aprendomi gli occhi su alcune fonti che avevo sottovalutato». Sulla piega del libro, ha spiegato: «Potevo optare per un taglio più scandalistico». In effetti gli ingredienti c’erano tutti: sfruttamento degli operai, accordi di scambio ‘uomini-carbone’ che l’Italia ha sottoscritto con Svizzera, Germania, Belgio, multinazionali, testimonianze forti. Ma ciò avrebbe tradito l’intento dello studioso: «Volevo raccontare una storia che non venisse dimenticata, per far entrare chi, nella storia, non c’è mai stato». A margine, anche la testimonianza di Francesco Giannone, anch’egli emigrato in Svizzera, e la sua forte accusa: «L’interesse dello stato italiano non era quello di proteggerci, ma di mandarci via per far arrivare in Italia i soldi. I nostri governanti sapevano a cosa andavamo incontro. Si pensi solo a tutti i morti per silicosi a causa delle miniere del Belgio. Morti anche dopo anni». Di loro infatti, non c’è rimasto più nessuno.