Emigrazione, dramma continuo

A Castelfranci confronto sul libro di Ricciardi a mezzo secolo dalla tragedia di Mattmark Emigrazione, dramma continuo Ieri come oggi per i migranti si ripete lo strappo dalle radici

Giancarlo Manzi - Il Quotidiano del Sud - 6 agosto 2015, p. 21.

Giancarlo Manzi – Il Quotidiano del Sud – 6 agosto 2015, p. 21.

«Più facile partire o più facile restare»? Una domanda che racchiude in sé tutto il senso del dibattito sull’emigrazione, per il passato, per il futuro, per il presente. A pronunciarla è il professore Toni Ricciardi, autore del libro ‘Morire a Mattmark – L’ultima tragedia dell’emigrazione italiana’ edito da Donzelli, presentato nel suo paese natale, Castelfranci. Un dibattito che ha toccato innumerevoli sfaccettature, e spigolose, di un problema che, stando a un recente sondaggio, è tra i più impellenti per la maggioranza dei cittadini UE. In Irpinia, provincia in cui sfidiamo a trovare un nucleo familiare che non abbia almeno un emigrante fra i suoi, il problema ha pesato e pesa ancora, su più generazioni. A moderare, il direttore del Quotidiano del Sud Gianni Festa. È lui a guidare i relatori in questo viaggio tra passato e presente. Il libro di Ricciardi, come ricorda il consigliere comunale di Castelfranci Vincenzo Schiavone, racconta con l’occhio attento dello storico sociale i fatti accaduti a Mattmark lunedì 30 agosto 1965, quando alle 17,15, dal ghiacciaio che già qualche giorno prima pare si muovesse, si staccano ben due milioni di metri cubi di ghiaccio e detriti. Le casupole degli operai che stavano costruendo la diga per una centrale idroelettrica vengono spazzate via da un imponente muro alto 50 m. 88 i morti, di cui 56 italiani, 23 svizzeri, 4 spagnoli, 2 tedeschi e un apolide. Primo stimolo di Festa al dibattito, l’annosa questione della sicurezza sul lavoro. Interviene Pasquale De Luca, responsabile sicurezza EMA di Morra De Sanctis, «eccellenza irpina che ha fatto scomodare Renzi», capace secondo il moderatore di «impiegare a dovere i fondi UE con progetti innovativi e un’attenzione particolare alla sicurezza». De Luca conferma: sul luogo di lavoro, gli operai spendono 1/3 delle loro giornate: «Pochi giorni fa fu fatta una simulazione del terremoto. È importante conservare il posto di lavoro e l’ambiente, che deve essere sano». Da qui, il discorso passa per forza di cose da quel crinale della storia dell’Irpinia, rappresentato dal terremoto del 1980. «Da allora gli amministratori non hanno più scherzato» ricorda Festa. Si girava l’Irpinia e si osservavano le case costruite a metà, che «ogni anno si alzavano di un piano e presentavano delle bandiere: erano i migranti che ritornavano durante le feste a tirarle su». Al sindaco Generoso Cresta chiede se il cemento assassino di allora è diventato cemento sicurezza. Risposta affermativa, con qualche riserva sulla classe politica di allora. Cresta infatti ricorda il disagio dei «paesi spopolati degli anni ‘60». Persone che viaggiavano per arrivare dove era richiesta la manodopera. Poi, il ringraziamenti a Ricciardi. Le sue riflessioni sul passato e su Mattmark riescono a «cogliere cosa siamo diventati oggi e cosa eravamo – dice Cresta – ma anche quali sono le responsabilità politiche di una progettualità oggi più di ieri venuta meno al Sud». Sull’emigrazione odierna, quella subita, Cresta invece invita a non «dimenticare le nostre sofferenze e quelle dei nostri simili, che cercano solo un po’ di speranza. Ma sempre nel rispetto delle regole». E su Mattmark sentenzia: «Tragedia annunciata, le casupole degli operai erano lì per risparmiare sull’eventuale trasporto più a valle. Questo fa riflettere: il capitalismo puro e semplice non può trascurare la sicurezza». Infine, parola all’autore. Festa chiede perché proprio la tragedia di Mattmark. Lo spunto lo dà proprio Castelfranci. In località ‘Palata’, c’era un tempo una minicentrale idroelettrica. Poi uno scritto di Nitti che accenna all’importanza di questa particolare forma di approvvigionamento energetico. Il filo rosso lo porta inevitabilmente in questa località del canton Vallese. «Con Mattmark e Marcinelle cambiò la storia del giornalismo, con una delle prime dirette televisive che dava conto del recupero delle salme». Un lavoro non facile: la Svizzera non era affatto compiaciuta di ‘cacciare’ dall’armadio impolverato della storia i suoi scheletri: «Mi hanno impedito quasi per un anno l’accesso agli archivi. Perché non si scoperchiava soltanto un singolo episodio, ma tutto un sistema». La Svizzera, spiega il professore, era infatti il primo attrattore di manodopera italiana. Una ricchezza che tanti italiani, in particolare del meridione, hanno contribuito a creare con spirito di dedizione, spinti dalla disperazione. Ma per chi come Riccardi è ben contento di iscriversi nel filone degli storici sociali, «che analizzano il contesto e le vicende di chi, nella storia, non c’era mai stato», raccontare Mattmark significa far uscire allo scoperto una politica migratoria molto aggressiva delle classi dirigenti italiane, forse unica nella storia: quella di un paese che sottoscrive dei veri e propri accordi di emigrazione. Altro che fenomeno naturale, «l’emigrazione nel secondo dopoguerra è stata indotta». Ricciardi senza mezzi termini parla di una «esportazione di braccia e cervelli messa in piedi mai esistita al mondo». E ricorda un discorso di Alcide De Gasperi alla Società delle Nazioni: «Consentite al mio popolo di emigrare in libertà». Festa ricorda la figura di Fiorentino Sullo, che in quegli anni intraprese una battaglia coraggiosa sulle condizioni «animalesche» degli emigrati italiani. Sì, è vero, ricorda Ricciardi, «chiedeva l’equiparazione del trattamento previdenziale e assicurativo tra lavoratori italiani e svizzeri». La storia dell’emigrazione è fatta di successi e insuccessi, di gente semplice, di italiani «clandestini in mezzo mondo»: «Fino agli anni ’80 – continua Ricciardi – erano censiti ancora tra i 15 e i 20mila bambini clandestini in svizzera. Il ricongiungimento familiare era vietato. Le donne avevano paura di rimanere incinta. Ci sono decreti di espulsione di bimbi di tre mesi». Sono pagine che, secondo Ricciardi, vanno ricordate, «per imparare che non esiste popolo o nazione che nasca e si sviluppi senza l’incontro con l’altro». A chiudere, la toccante esperienza di Salvatore Di Nenna: lui ha lavorato a Mattmark, insieme al padre. Ma si è salvato perché, quel 30 agosto, in permesso premio a Montella per le sue nozze, a differenza del papà, deceduto nell’inferno di detriti e giacchio: «Ricordo bene quella sera – racconta emozionato al pubblico – accendo la tv e capisco subito quello che era successo. A mia moglie dissi: se mio padre è andato a lavoro, è morto sicuramente». Aveva ben inteso.