Italiani in svizzera. Una tragedia per capirli di più

Lo storico delle migrazioni e un episodio che merita di riaffiorare nella coscienza sociale elvetica

di Paolo Grieco

«Guardateli, via via che i soccorritori li allineano per terra, supini, uno accanto all’altro…. Guardateli per l’ultima volta. Non sono belli e tremendi?».

Paolo Grieco La Provincia di Como - 15 luglio 2015

Paolo Grieco
La Provincia di Como – 15 luglio 2015

L’enfasi dell’articolo di Dino Buzzati sul Corriere della Sera per commentare la sciagura di Mattmark, nel cantone vallese svizzero del 30 agosto del 1965, riflette la commozione della stampa italiana. In meno di trenta secondi, più di due milioni di metri cubi di ghiaccio si riversarono sul cantiere e le baracche degli operai. Ottantotto persone persero la vita, tra loro cinquantasei italiani. La reazione dell’opinione pubblica e fu anche di sdegno. Ci si chiese come mai, nell’organizzatissima Svizzera, gli ingegneri non fossero riusciti a prevedere la pericolosità della lingua del ghiacciaio Allanin. Ne abbiamo parlato con Toni Ricciardi, storico delle migrazioni presso l’Università di Ginevra, autore del pregevole ed esauriente libro – “Morire a Mattmark. L’ultima tragedia dell’emigrazione italiana” – edito da Donzelli.
Il commento dei giornali svizzeri su Mattmark fu piuttosto moderato rispetto a quello italiano, quasi a nascondere le cause di quanto era successo…
L’impostazione della stampa dei due paesi fu diametralmente opposta e fortemente influenzata dal contesto geopolitico e politico interno: in piena guerra fredda le prese di posizione furono, ovviamente, diverse. Per quanto attiene alla stampa italiana, molte testate diedero spazio e risalto agli aspetti emozionali della vicenda, anche se, nemmeno trascorsa una settimana, iniziarono ad interrogarsi sulle cause e le responsabilità. In più, i giornali di sinistra – su tutti l’Unità e in tono minore l’Avanti! – utilizzavano i fatti di Mattmark per scagliarsi contro il capitalismo tout court e soprattutto contro l’allora governo Moro. Sul versante svizzero, invece, da subito fu rimarcata l’imprevedibilità della catastrofe. Successivamente, fu dato grosso risalto all’organizzazione dei soccorsi e alla generosità della Svizzera. Tuttavia, anche nella Confederazione non mancarono le voci fuori dal coro, che nel breve periodo si trasformarono in prese di coscienza, sul grande contributo che gli stranieri offrivano allo sviluppo ed alla crescita del paese. Si tenga presente che qualche mese prima della catastrofe era stata depositata la prima iniziativa antistranieri e quindi il clima interno era abbastanza surriscaldato.
Diversa invece fu il commento sul processo. Mentre la stampa italiana premeva sulla questione della commissione d’inchiesta e s’indignò, unanimemente per il trattamento riservato ai familiari delle vittime, quella svizzera nel 1972 – altra epoca storica – si schierò quasi tutta a favore degli indiziati.
Oltre a non aver previsto che il ghiacciaio si stava muovendo per il caldo e per le piogge, gli svizzeri furono accusati di aver tenuto un comportamento discriminatorio nei confronti degli italiani – chiamati “zingari”… persino dai bambini – a cominciare dalle abitazioni degli operai costruite per economizzare le spese…
Appunto, come le dicevo prima, erano gli anni sessanta e il clima nei confronti degli stranieri, quindi degli italiani, non era dei migliori. Nel libro la vicenda è trattata marginalmente, soprattutto grazie alle testimonianze e ai racconti delle prime impressioni dei giovanissimi lavoratori che giunsero nei paesini della Valle del Saas. Poi, il resto è storia.
D’altronde, a partire dal 1965 e per più di un decennio, la politica svizzera fu interessata, quasi investita, dal problema immigrazione. E poi, Schwarzenbach, contro l’inforestieramento, ovvero contro gli stranieri, ne fu la prova schiacciate.
Mattmark ha avuto un’appendice di duplice ironia: dal processo che assolse gli imputati e che in appello condannò i famigliari delle vittime a pagare una parte delle spese processuali, al fatto che la necessità di energia idroelettrica, quando la diga fu completata il 25 giugno del 1969 in Svizzera era venuta di gran lunga meno per le centrali atomiche. Altro errore di calcolo?
Né nell’uno né nell’altro caso si può parlare di errore di calcolo. Nel primo caso, come sostenne la commissione d’inchiesta, le cause furono di tipo naturale, ma l’alto numero di vittime fu dovuto alla negligenza umana, essendo la catastrofe stata provocata dalla scarsa conoscenza e dalla superficialità dei tecnici e dei progettisti. Per quanto riguarda le fonti energetiche la produzione nucleare, come prima quella idroelettrica, rappresentava la nuova frontiera dello sviluppo. Oggi si è visto che la Svizzera, come altri paesi europei, si è avviata alla progressiva dismissione delle centrali nucleari quindi l’idroelettrico fu un calcolo corretto. Il processo, invece, va visto in un quadro d’insieme un po’ più ampio.
Avvenne nel 1972, in un’epoca diversa rispetto all’anno della tragedia: condannare gli imputati avrebbe significato condannare un sistema, un paese, un modello. E in più, va ricordato che non ci fu né prima né dopo una catastrofe che abbia erogato contribuiti ed indennità in denaro ai familiari delle vittime: ad esempio la Fondazione Mattmark erogò più di 4,5 milioni di franchi e la Suva oltre 60. Invece, se vogliamo parlare di giustizia, questa non ci fu.
A parte gli episodi di ostilità verso gli italiani emigrati, è però anche vero che nella Confederazione molti di loro hanno trovato benessere e una speranza che l’Italia non era in grado di dare…
Questo è indubbio. Tuttavia, sia in Svizzera sia in Italia non furono tutte rose e fiori. È necessario conoscere la storia e farla conoscere soprattutto alle giovani generazioni, per evitare da un lato, il ripetersi di razzismo e xenofobia, e dall’altro, per fare in modo che continuino a ripetersi comportamenti rispettosi. Spesso la non conoscenza, il non ricordo, il continuo alimentare delle paure – questo sì in maniera strumentale – erigono muri che non servono. Francamente non so quanto Mattmark abbia inciso nel rifiuto all’epoca dei referendum antistranieri, tuttavia, con ogni probabilità, ebbe un peso, anche inconscio. Se in Svizzera fossero state ricordate la tragedia di Mattmark e la tragedia di Robiei dell’anno dopo, forse e dico forse, il referendum del 9 febbraio del 2014 sarebbe andato diversamente.