Dall’Irpinia a Mattmark, quei destini sotto la diga

«Studi dell’emigrazione»: le vittime delle catastrofi del fordismo

di Paolo Saggese

Paolo Saggese Il Mattino, ed. Avellino - 16 marzo 2015, p. 22

Paolo Saggese
Il Mattino, ed. Avellino – 16 marzo 2015, p. 22

Quando si parla di emigrazione, si pensa subito al Sud e alla provincia di Avellino, ad una terra vocata da ormai quasi un secolo e mezzo a quella, che i nostri autori meridionalisti hanno definito non semplice partenza, ma fuga alla ricerca di pane, di successo, di libertà.
Pensiamo, ad esempio, alle poesie di La Penna, Martiniello, Saggese, Iuliano, D’Alessio, Tedeschi, Stiso, o a quelle dei tanti autori, che hanno raccontato, sulle tracce di Rocco Scotellaro, il destino delle genti dell’Appennino meridionale.
A questa storia oggi si dà ulteriore luce attraverso un numero monografico curato da Toni Ricciardi e Sandro Cattacin della rivista trimestrale «Studi Emigrazione – Migration Studies – International Journal of Migration Studies» del «Centro Studi emigrazione» di Roma, in cui si analizzano i rapporti tra fordismo, catastrofi antropiche ed emigrazione, attraverso i saggi dei curatori, e quindi di Rémi Baudouï, Matteo Sanfilippo, Stefano Luconi, Giorgio Sacchetti, Alessio Marzie Generoso Picone.
Infatti, il fordismo, con il nuovo impulso dato al capitalismo novecentesco e all’economia mondiale, incentivando anche una sempre maggiore produzione energetica funzionale al capitalismo stesso, ha indotto tutti gli Stati a aumentare vertiginosamente la ricerca e lo sfruttamento della Terra. Tale fenomeno è alle base di molte catastrofi antropiche, cioè create dall’imperizia o dalla disonestà umane o dalla necessità di continue sfide, con la costruzione di dighe o con lo sfruttamento minerario in luoghi pericolosi o poco sicuri, anche a causa di una volontà perversa tesa alla riduzione delle spese e all’aumento del profitto. Pertanto, centrali sono le analisi delle tragedie, che hanno visto vittime tanti emigranti italiani, dalle sciagure minerarie di Dawson del 1913 e del 1923, a quella di Monongah del 1907 sempre negli Stati Uniti, a quella di Arsia,inIstria,del1940(nascosta dal regime fascista), a quelle tristemente famose di Marcinelle (8 agosto 1956) e di Mattmark (30 agosto 1965).
Dunque, il capitalismo ha avuto bisogno di sempre maggiore energia, e di braccia a basso costo, di uomini disposti a rischiare la vita per un tozzo di pane.
Perciò, gli Italiani, soprattutto quelli del Sud, ma anche di alcune aree vaste del Nord-Est, hanno ingrossato bastimenti e treni merci, con il miraggio di una vita nuova e di un destino di felicità, consistente nello stomaco pieno di carne per sé e per i propri familiari.
Dopo le fughe transoceaniche degli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento, vi furono quelle verso il Belgio – quando lo Stato italiano barattò la vita dei minatori con i sacchi di carbone necessari per il boom economico -, quindi verso la Svizzera, la Germania, la Francia, l’Argentina.
Il libro si caratterizza per saggi molto acuti. Ad esempio, notevole è lo studio in francese di Rémi Baudouï sulla società del rischio e sul carattere distruttivo della civiltà e del progresso. Riprendendo, infatti, un concetto sviluppato da Ulrich Beck, l’analisi di Baudouï si concentra sul tema sempre attuale del «vulcano della civilizzazione», cioè i rischi, che attraverso il capitalismo, le ricerche energetiche, il nucleare, la nostra civiltà deve affrontare, mettendo in pericolo la stessa sopravvivenza degli uomini.
Molto interessante, ricco di nuove acquisizioni, è lo studio di Ricciardi su Mattmark, sciagura causata da numerose colpe dei progettisti della diga e delle stesse autorità, che misero in secondo piano la sicurezza dei lavoratori, costretti a vivere tra l’altro in condizioni disumane e con ritmi di lavoro di tipo schiavistico. In quella tragedia, tra l’altro, videro la morte anche dei giovani irpini, Donato Arminio, ventenne di Bisaccia, e Umberto Di Nenna di Montella. Di queste morti, non a caso si occuparono anche i poeti irpini Nicola Arminio e Pasquale Stiso.
Nel saggio di Picone, inoltre, si passano in rassegna le analisi, che sul «Corriere della Sera» e su «Il Mattino» furono dedicate a queste tragedie, in particolare a Marcinelle e a Mattmark. Lo studioso analizza anche le pagine di grandi scrittori, che hanno raccontato questi drammi, da Luciano Bianciardi a Carlo Cassola, da Dino Buzzati a Giovanni Russo. Qui si racconta, tra l’altro, il terribile destino di Antonio Iannetta, molisano di Bojano, che capiva poco o niente di francese, viveva in una Nazione ostile, e fu ritenuto l’unico colpevole della tragedia di Marcinelle.
Così scrive Generoso Picone: «Iannetta sarebbe stato individuato come l’unico responsabile di quell’apocalisse, dell’inferno di Marcinelle. Al processo i proprietari della miniera furono assolti l’11 ottobre 1959 dal Tribunale di Charleroi.
Iannetta continuò a non intendere il francese e fuggì in Canada. Sarebbe morto a Toronto l’11 febbraio 2012 con i suoi segreti rimasti saldati in una lingua stramba e incomprensibile».
Ecco servita la beffa terribile della storia.