01 Mag Italiani bambini in Svizzera tra associazionismo ed emigrazione
Mentre l’Italia era alle prese con la sua liberazione le Colonie rappresentarono il primo modello laico di supporto e assistenza ai migranti
Terre lontane mille miglia eppure così vicine specie in un passato non molto remoto, era la metà degli anni Settanta quando la Svizzera, negli anni del boom economico, accoglieva tra le sue braccia gli amici lavoratori italiani. Racconti di vita, lettere,verbali diplomatici, materiale di propaganda, che passo dopo passo, mettono a posto i tasselli di una storia recente fatta di successi e insuccessi, ma che alla fine ha contribuito alla crescita e allo sviluppo seppure solo parziale, di tante piccole e piccolissime realtà dell’entroterra meridionale e non solo. Immagini care a tanti italiani che, con la valigia di cartone e quattro cianfrusaglie, raggiungevano quel Paese con la speranza, un giorno, di imparare un mestiere. Accurato, originale e impreziosito da documenti inediti: è il lavoro del giovane storico irpino Toni Ricciardi che, con dovizia di particolari, è riuscito a raccontare quegli anni. “Associazionismo ed emigrazione. Storia della colonie libere e degli italiani in Svizzera”. È il titolo del libro, edito da Laterza.
“…dal 1861 al 1985, in poco più di un secolo, quasi 5 milioni di italiani – si legge nel libro di Riccairdi – si sono diretti verso la Confederazione elvetica, 2,6 milioni a partire dal secondo dopoguerra fino alla metà degli anni Ottanta, tanto che oggi l’oltre mezzo milione di presenze fa dei nostri connazionali in Svizzera la terza comunità italiana nel mondo. Nel frattempo, di questi, oltre 200.000 hanno acquisito la doppia cittadinanza. In più, nel 2009, nella hit-parade dei nomi dei bambini nati in Svizzera (indagine che periodicamente svolge l’Ufficio federale di statistica) ritroviamo al primo posto, nelle regioni di lingua tedesca e francese, nomi italiani: Lara, Laura, Mia e Luca per la Svizzera tedesca; Emma e Lara per quella francese”. Inoltre quasi un quarto delle associazioni presenti in Svizzera (1500 circa) sono italiane. Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo e soprattutto a partire dagli anni Venti del Novecento, ne sorsero diverse anche a carattere religioso, politico e sociale. Proprio nel territorio della Confederazione, già nel 1834, Mazzini fondò la Giovine Europa, a fine secolo sorsero le missioni cattoliche italiane e i socialisti diedero vita all’Avvenire dei Lavoratori e al ristorante Cooperativo a Zurigo. Ancora – racconta Ricciardi – nel 1943 viene fondata la Federazione delle Colonie Libere Italiane in Svizzera (FCLIS), nata dall’esigenza di assicurare una rappresentanza unitaria di tutti gli italiani e degli esuli del fascismo. Mentre l’Italia era alle prese con la sua «liberazione, le Colonie Libere rappresentarono il primo modello laico di supporto ed assistenza agli emigrati”. Nelle pagine dell’ultimo lavoro di Ricciardi, attraverso la storia delle Colonie libere, in un fluire che a volte si interseca e a volte segue linee parallele, si racconta la presenza italiana in Svizzera a partire dal secondo dopoguerra e durante la fase della guerra fredda. Si tratta di una presenza caratterizzata dalla stagionalità e precarietà, oltre che da un alto tasso di clandestinità dove i vari protagonisti sono stati gli italiani bambini: nel solo decennio 1970, si attestavano tra 10mila e 15mila. Inoltre, l’emigrazione italiana in Svizzera non fu esclusivamente meridionale, o meglio fu, lo fu – come lo stesso autore sottolinea più volte – ma solo “progressivamente” specie tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio del decennio successivo. Una “vecchia” e “nuova” emigrazione che dovette fare i conti con tutte le difficoltà del tempo e soprattutto con una immane tragedia, ancora sconosciuta al grande pubblico: le morti di Mattmark (la Marcinelle dimenticata).
IL CONTESTO STORICO. Il mondo era diviso in blocchi contrapposti e la non politicizzazione degli immigrati rappresentava una peculiarità delle politiche migratorie della Svizzera. Il Paese reagì con l’allontanamento dei fascisti e le espulsioni per “attività comunista” e/o sindacale e dove la minaccia della cosiddetta Überfremdung, termine che sarà tradotto nelle leggi con inforestieramento. Il tutto influì nelle scelte di gestione dell’enorme massa di migranti fino alla fine degli anni Ottanta. La contrapposizione della guerra fredda fece sentire i suoi effetti anche sui rapporti tra le stesse associazioni italiane che si confrontano in Svizzera e riproposero le divisioni presenti nella politica italiana di allora. Come a simboleggiare lo scontro tra due culture e modelli di vita opposti, ma che alla fine dei conti, grazie alla collaborazione tra le parti in favore degli emigrati, si ridussero a quanto mirabilmente descritto nei romanzi di Guareschi: “In fondo, Don Camillo e Peppone sono due lati della stessa medaglia: due italiani dal cuore d’oro che dietro l’apparente ostilità non possono fare a meno l’uno dell’altro”. “Si trattava – racconta Ricciardi – di conterranei, in questo caso connazionali, che si capivano e si stimavano: spesso divisi sulle faccende interne dell’Italia, si ritrovarono poi uniti, soprattutto a partire dagli anni Settanta, contro le avversità esterne (movimenti xenofobi e politiche migratorie Elvetiche). Nello stesso periodo, a causa della crisi petrolifera, la manodopera italiana, che qualche decennio prima fungeva da valvola di sfogo per l’Italia, si trasformò in valvola di sicurezza per il sistema economico elvetico. E la storia si ripete: l’Italia nel secondo dopoguerra esportò la sua disoccupazione in mezzo mondo, soprattutto in Europa specie in Svizzera”. Un periodo che rappresentò lo spartiacque per l’associazionismo in emigrazione, sia perché rafforzò i rapporti interni sia perché si consolidarono forme di collaborazione sempre più intense e stabili, con sindacati, partiti e movimenti svizzeri. Sviluppatasi quasi parallelamente alla stagione dei referendum xenofobi, questa fase portò alla prima iniziativa pro-stranieri, Mitenand. Nel frattempo l’emigrazione italiana, da stagionale e precaria, si trasformò progressivamente in stanziale. I progetti migratori temporanei diventano, quasi inconsciamente, traiettorie di vita definitive. Così Toni Ricciardi.