L’altra Italia che se ne andò in Svizzera

L’altra Italia che se ne andò in Svizzera
«Associazionismo ed emigrazione»: Ricciardi racconta decenni di lavoro e sofferenza

Paolo SaggeseIl Mattino, ed. Avellino - 14 marzo 2013

Paolo Saggese
Il Mattino, ed. Avellino – 14 marzo 2013

Ci sono dei libri, che devono essere scritti quasi per obbligo, per un dovere morale superiore alla nostra stessa volontà, perché sono un atto dovuto personale e collettivo, perché rispondono ad una storia personale e che al contempo ha riguardato migliaia, milioni di uomini. Tale è il lavoro poderoso, solido, molto ricco di dati e di analisi, che Toni Ricciardi ha dedicato all’emigrazione in Svizzera nel secondo Novecento, e che in questi giorni è in distribuzione nelle librerie italiane. Il titolo del libro è «Associazionismo ed emigrazione. Storia delle Colonie Libere e degli Italiani in Svizzera» (Laterza, pagg. 318, euro 20). Si tratta di un atto dovuto, perché Ricciardi, studioso giovane, impegnato politicamente, ma già affermato ricercatore presso l’Università «l’Orientale» di Napoli e l’Università di Ginevra, ha da bambino conosciuto l’emigrazione insieme ai suoi genitori, cui il libro è dedicato.
Ma, ovviamente, al di là della questione familiare, che ha pure la sua importanza emozionale, lo studio di Toni Ricciardi è soprattutto un contributo prezioso, e da oggi imprescindibile, per conoscere il complesso fenomeno migratorio che dal 1948 fino soprattutto agli anni Ottanta ha spinto centinaia di migliaia di famiglie e milioni di persone a raggiungere dall’Italia la Svizzera. Anzi, proprio lo stesso studioso pone in rilievo il paradosso della scarsa attenzione riservata dai ricercatori italiani a questo fenomeno migratorio, sebbene la Svizzera abbia accolto da sola quasi il 50% del flusso italiano, prevalentemente del Nord-Ovest e, poi, a partire dagli anni Sessanta, del Sud. Infatti, dal 1861 al 1985, osserva puntualmente lo studioso, «in poco più di un secolo, quasi 5 milioni di Italiani si sono diretti verso la Confederazione elvetica, 2,6 milioni a partire dal secondo dopoguerra fino alla metà degli anni Ottanta». Insomma, in tal modo la Svizzera accoglie oggi la terza comunità italiana nel mondo e molti dei nomi più diffusi sono di origine italiana.
Il libro, inoltre, analizza questa storia da un’ottica particolare, che fornisce un’ulteriore specificità a questa emigrazione: infatti, Ricciardi studia contemporaneamente l’evoluzione del fenomeno, quindi le trasformazioni delle condizioni degli immigrati, della legislazione, delle tipologie di lavoro e dei salari, nonché la funzione, che l’associazionismo ha avuto in questa vicenda dolorosa ed esaltante. In particolare, l’analisi si concentra sulla Federazione delle Colonie Libere Italiane in Svizzera (Fclis), che costituisce un’eccezione relativamente all’associazionismo italiano in emigrazione, perché si proponeva fin dalla sua fondazione di coordinare e rappresentare unitariamente tutti gli italiani e gli esuli del fascismo.
Così i cinque capitoli del libro si occupano dei primi anni della Federazione (1927-1944), quindi di quelli successivi al conflitto mondiale (1945-1955), dell’emigrazione dal Sud (1956-1964), dei tentativi di integrazione, cui si oppongono vasti fenomeni xenofobi (1965-1975), il cambio di prospettiva da valvola di sfogo a valvola di sicurezza dell’emigrazione italiana.
Questa indagine, d’altra parte, ricostruita spesso utilizzando direttamente fonti d’archivio e materiale inedito, si intreccia con la storia politica delle due Nazioni, con i trattati internazionali e tra Svizzera ed Italia, con i conflitti ideologici successivi alla seconda Guerra mondiale e alla divisione dell’Europa in due blocchi contrapposti, con gli equilibri interni all’Italia, che voleva liberarsi di manodopera disoccupata e politicamente pericolosa e con gli interessi elvetici, che esigevano un’emigrazione contingentata e non politicizzata, per poter meglio controllare il fenomeno e la propria stabilità. Anche le indagini relative all’evoluzione economica della Svizzera e alla sua politica prima, durante e dopo la guerra sono particolarmente utili per comprendere la posizione di favore che la Nazione neutrale conobbe in quegli anni, in cui l’Europa intera era costretta a curare le proprie enormi ferite.
Non meno spazio, d’altro canto, è dato alle condizioni di lavoro degli immigrati, alle scarse tutele sindacali, alla triste condizione di operaio stagionale, che poteva essere da un momento all’altro rimpatriato, agli infortuni e alle morti sul lavoro – una ogni tre giorni negli anni Sessanta riguardava immigrati italiani – , come al destino dei bambini figli di emigranti che dovevano vivere da clandestini perché, altrimenti, sarebbero stati rimpatriati in modo forzoso. Scorrono, così, dinanzi agli occhi dei lettori anni di soprusi, di discriminazioni, di dolore, anni difficili, come sempre, per i più deboli e indifesi. È rievocata, così, la strage del cantiere maledetto di Mattmark – 30 agosto 1965 -, in cui morirono 88 persone, di cui 56 italiane. Tra le vittime vi furono anche due irpini, Donato Arminio, 20 anni, di Bisaccia, e Umberto Di Nenna di Montella, alle cui famiglie sia Pasquale Stiso sia Nicola Arminio dedicarono parole di grande forza e indignazione. Quest’ultimo scrisse una poesia, «Epigrafe per i caduti sul lavoro», che così recita: «A Mattmark / sotto il ghiacciaio / hanno posto una croce per cinquanta / e più uomini che lavoravano. / Nelle case aperte a vana attesa / piangono i figli / le madri / i padri / le spose / per quella croce».
Questi versi meglio di altre parole raccontano questa storia così riccamente analizzata da Toni Ricciardi.